Assalto alle carceri fasciste!

ASSALTO ALLE CARCERI FASCISTE!

“Siamo i diavoli rossi venuti a liberarvi!”

Il collettivo di scrittori Wu Ming sostiene che le storie sono asce di guerra da dissotterrare. Troviamo sia un pensiero molto azzeccato, specie se si affronta il tema della Resistenza antifascista. Un popolo senza memoria è un popolo che si fa manipolare. Ci sono vari modi per cancellare la memoria e la storia del popolo, per farci dimenticare da dove veniamo e per condurci dove vogliono lorsignori: uno è quello di annacquare le coscienze nel corso degli anni, pian piano, con un lavorio paziente ma costante, un lavaggio del cervello sottile ma crescente, mettendo in discussione la contrapposizione fascismo-antifascismo. Riabilitando Mussolini, cancellano la Resistenza e la Costituzione, frutto della Resistenza. Questo è stato fatto. Un altro modo è stato di emarginare, colpire, perseguitare i partigiani che la Resistenza l’hanno condotta in maniera ineccepibile sul piano militare ma soprattutto politico, con la consapevolezza che essa si sarebbe compiuta definitivamente non solo liberandoci dal fascismo, ma anche da chi il fascismo lo genera, la borghesia monopolista. Anche questo è stato fatto. Tanti partigiani comunisti nel dopoguerra furono denunciati, incarcerati, costretti all’esilio dagli stessi aguzzini repubblichini amnistiati e reintrodotti nelle loro funzioni amministrative. Questo ricordo di Pierluigi Visintin su un eroico episodio della Resistenza vuole essere un piccolo omaggio alla classe operaia, ai partigiani comunisti che questo Paese lo hanno riscattato, e sono stati perseguitati da una repubblica borghese spesso senza memoria che oggi, per ironia della sorte, è vittima stessa di coloro che ha sempre protetto.


 

Sono le 18.30 del 7 febbraio 1945. Un camion si ferma davanti all’ingresso delle carceri di Udine in via Spalato; ne scende un capitano nazista che bussa con violenza alla porta. Grida che gli aprano: deve consegnare due banditi. Aldo Sganzerla apre lo spioncino e vede 2 prigionieri brutalmente sospinti con il calcio del mitra da un gruppo di repubblichini. Sganzerla apre e i prigionieri entrano, oltrepassano il primo cancello, poi il secondo. Ecco che estraggono i mitra e li puntano sui carcerieri, intimando loro di consegnare le chiavi. Due guardie che cercano di ribellarsi vengono abbattute da raffiche di mitra. «Maledizione! Vi avevo detto di non sparare!». Romano il Mancino1, il leggendario comandante dei Gap di San Giorgio di Nogaro privo del braccio sinistro, incomincia a impartire ordini. Cercano le chiavi, aprono le celle, fanno uscire i prigionieri, immobilizzano i secondini. «Siamo i Diavoli Rossi venuti a liberarvi!».

Dopo la paura iniziale i prigionieri esultano. Escono Ilario Tonelli Martello, comandante gappista, e Detalmino Liva Nino, entrambi di Cervignano; escono i gappisti Duilio Fabbro Premoli di Palazzolo dello Stella, Cosimo Pastore Tigre, pugliese, Ennio Cicuto Fulmine di San Giorgio al Tagliamento; esce Luigi D’Antoni Bulo di Colloredo di Prato; escono altri partigiani, garibaldini e osovani; escono un maggiore e due soldati inglesi. In tutto sono 73, molti dei quali condannati a morte. Ecco l’allarme: sirene, razzi che illuminano il cielo, autoblindo, cani poliziotto… Dopo pochi metri il camion finisce in una buca di bomba: si continua a piedi. E qui l’epopea ci tramanda l’immagine di Romano che avanza al centro della strada con a fianco Aramis, entrambi con il fucile mitragliatore spianato. Mentre la colonna avanza, un colpo buca il colbacco di Romano, che commenta: «Per dio! Stanno imparando a sparare!». Ormai hanno i nazifascisti alle costole. Liberatori e liberati si dividono in gruppetti, dandosi appuntamento a Spessa di Cividale. Arriveranno alla spicciolata, ma tutti sani e salvi. L’azione alle carceri che vi abbiamo tratteggiato è una delle più audaci di tutta la Resistenza italiana. Riceve l’encomio solenne del Comando generale del CVL, mentre radio Mosca e radio Londra la commentano con entusiasmo. Il merito va ai comandanti gappisti Valerio Stella Ferruccio, Aldo Plaino Valerio e Alfio Tambosso Ultra, che l’hanno organizzata, e ai Diavoli Rossi che l’hanno realizzata. A parte il trentunenne Gelindo Citossi Romano il Mancino di Zellina, comandante, gli altri hanno tutti vent’anni o meno. Sono Carlo Avanzo Ribelle, ferrarese; Enzo Jurich Ape di Feletto Umberto; Giovanni Zaninello Nino di San Giorgio di Nogaro; Ferruccio Manzione Gigi di Castions di Strada; Raffaele De Sario Germano, pugliese; Angelo Basso Bill e Pietro Zorzini Pierino di Cussignacco; Antonio Burba Arno di Driolassa; Galliano Feresin Rudy (16 anni!) di Cervignano; Luigi Scagnelli Aramis di Pavia; Pietro Tavars Carletto e Giovanni Piani Franco di Gonars e Tigre, del quale si sa soltanto che era della Bassa friulana. C’è con loro la legione straniera, formata dai disertori russi Vitalij Litovko Alexandro e Romano II, dal caucasico Piotto, dall’azerbaigiano Mosca e dal rumeno Fritz. I disegni che illustrano l’assalto alle carceri, qui riprodotti, sono di Alfonsino Filiputti (1924-1999), pittore autodidatta di San Giorgio di Nogaro, che ha dipinto in 364 tempere fatti riguardanti la guerra e la Resistenza soprattutto nella Bassa e nel Friuli, ma anche in Italia e in Europa (battaglie in mare, bombardamenti, azioni partigiane, rastrellamenti, la liberazione…). Per ricordare degnamente il 60° della Liberazione, l’ANPI provinciale di Udine ha dato il suo patrocinio a una mostra comprendente 140 di queste tempere, che verrà inaugurata il 17 aprile 2005 a Udine, per passare in maggio a San Giorgio di Nogaro e in seguito nei Comuni della Regione che la richiederanno Nella mostra, che vuole essere un modo diverso per spiegare ai giovani delle scuole medie inferiori e superiori la Resistenza, le tempere verranno esposte con criteri tematici, con didascalie chiare e pannelli di approfondimento storico. L’importante iniziativa si è potuta realizzare grazie al contributo della Regione Friuli-Venezia Giulia, della Provincia di Udine, dei Comuni di Udine e San Giorgio di Nogaro e della Coop Consumatori Nordest.

(articolo tratto da Patria Indipendente, 30 dicembre 2004)

Note:

  1. All’anagrafe Gelindo Citossi, nato a San Giorgio di Nogaro (Udine) il 7 ottobre 1913, deceduto a Pisino (Croazia) il 7 aprile 1977, contadino. Era nato a Zellina, frazione di San Giorgio, in una famiglia di contadini. Sesto di nove fratelli, Gelindo aveva perduto l’uso del braccio sinistro, ma ciò non gli impedì dopo l’8 settembre 1943, di entrare a far parte della Resistenza. Prima viene impiegato come trasportatore, poi, su sua richiesta, nell’estate del 1944, Gelindo entra nei reparti combattenti e in breve diventa il capo del leggendario gruppo dei “Diavoli Rossi”. Così venivano chiamati una ventina di gappisti che operavano nella Bassa Friulana sotto la guida, appunto, di Citossi, che aveva assunto il nome di battaglia di “Romano il Mancino”. I “Diavoli Rossi” erano quasi tutti giovanissimi e, del resto, “Romano il Mancino” che li guidava – in imboscate, sabotaggi, eliminazione di spie e di finti partigiani, in requisizioni e trasporto di armi e viveri in montagna – aveva appena superato i trent’anni. L’azione più clamorosa (tanto che ne parlarono Radio Londra e Radio Mosca e tanto da indurre il maggiore Nicholson, della Missione Alleata, a procurare almeno un “lancio” di armi, munizioni e vestiario agli ardimentosi che avevano la loro base a Spessa di Cividale), fu quella dell’assalto al carcere di Udine. È la sera del 7 febbraio 1945. Abbattute due guardie che avevano opposto resistenza, gli uomini di “Romano il Mancino” liberano 73 tra partigiani e prigionieri politici (sei dei quali già condannati a morte), un maggiore e due soldati inglesi. Per la fuga dei prigionieri provvede Ferruccio Buffa, con un camion rubato una settimana prima da lui, da Zorzini e da Rinaldo Nadalutti; tutti gli altri si allontanano a piccoli gruppi, vanamente inseguiti dai nazifascisti, accorsi dopo la prima sparatoria. Gli uomini di Gelindo Citossi riceveranno subito l’encomio del Corpo Volontari della Libertà. Nel dopoguerra per “Romano il Mancino”, nessun riconoscimento ufficiale. Per lui soltanto il ricordo della gente del Friuli che, nel 61° della Liberazione, si è recata in pellegrinaggio a Pisino, dove Citossi era stato ospitato da una sorella. (fonte ANPI http://www.anpi.it/donne-e-uomini/gelindo-citossi/)

Per ulteriori approfondimenti, si consiglia il libro Romano il Mancino e i Diavoli Rossi, edizioni Kappa Vu (http://www.ecommerce.kappavu.it/storia/romano-il-mancino-e-i-diavoli-rossi.html)

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