ATTUALITA’ DELLA LOTTA ANTIFASCISTA – Fosco Dinucci*

Nuova Unità, n.15, aprile 1988

Non è un paradosso, ma la realtà dialettica: quanto più ci si allontana nel tempo dall’insurrezione popolare del 25 Aprile 1945, con cui si compiva il crollo del regime mussoliniano servo degli occupanti hitleriani, tanto più si pone la necessità obiettiva dell’impegno antifascista.

Confidando che il trascorrere degli anni affievolisca la sensibilità delle coscienze anche per i grandi eventi, calcolando che nella stessa sinistra si è attenuata la spinta antifascista, qualche professore e qualche esponente politico hanno cominciato a parlare di superamento della contrapposizione fra fascismo e antifascismo, fino a proporre l’abrogazione della norma costituzionale che vieta di ricostituire il partito fascista.

Allora perché, nonostante questa norma, è stato permesso il Movimento sociale italiano (MSI), che rappresenta proprio il ricostituito partito fascista? Perché i suoi esponenti siedono in Parlamento, pagati con i soldi del popolo lavoratore?

Tralasciando i vari pretesti di chi tenta giustificazioni, due sono i motivi fondamentali: da un lato, la Democrazia cristiana (DC) trova conveniente avere una formazione politica alla propria destra, per apparire partito di centro, impegnato contro gli “opposti estremisti”; dall’altro, il gruppo dirigente del Pci è preoccupato per l’eventualità che, non essendoci più il Msi i suoi elettori si rivolgano alla Dc.

Con la socialdemocratizzazione i dirigenti del Pci hanno abbandonato l’impegno antifascista, come fu espresso fino alla segreteria di Longo, il quale si battè per la messa fuori legge del Msi.

Questo mancato adempimento fa parte di un quadro complessivo, per cui si può affermare, con profonda amarezza, che l’Italia di oggi non è quella per cui si battevano i perseguitati antifascisti, per cui lottavano i partigiani. Insieme con l’obiettivo di annientare il regime fascista e di cacciare i nazisti, chi combatteva per la libertà e l’indipendenza era consapevole che questi valori avrebbero dovuto trovare sostanza e compimento in una nuova società nella quale il lavoro non fosse più sfruttato da una minoranza, dalla classe capitalista che era stata matrice del fascismo.

Certamente, il popolo ha conquistato le libertà democratiche, si è avuto lo sviluppo tecnologico per cui l’Italia è uno dei paesi più industrializzati. Ma, proprio per questo, risultano ancora maggiori le contraddizioni.

Proprio perché, dopo la liberazione, è stato restaurato il capitalismo con la politica democristiana sostenuta dal Vaticano e dal comando anglo-americano; proprio perché è rimasta e si è consolidata la proprietà capitalistica privata dei mezzi di produzione, oggi il nostro paese ha milioni e milioni di disoccupati, specialmente giovani e donne, ha problemi drammatici, come per le condizioni del Meridione, per la casa, la sanità, la scuola, le pensioni.

Nella continuità del potere borghese, tre-quattro oligarchie industriali e finanziarie, a cominciare dalla Fiat, manovrando per dominare ogni aspetto della vita del paese, allargano i poteri all’estero e, come multinazionali, decidono secondo l’interesse del massimo profitto, contro gli stessi interessi nazionali.

Gravi pericoli incombono sul nostro paese, perché questi poteri crescenti sono la base di regimi “forti” contro il popolo. E i regimi forti sono fascisti nella sostanza di classe, indipendentemente dagli aspetti formali che si danno. Intanto si parla di “regolamentazione” del diritto di sciopero.

Non è questa l’Italia che volevano i combattenti della libertà. Non la volevano in preda alla corruzione, alla degenerazione, a delitti d’ogni specie, al terrorismo, alle stragi dei complotti fascisti, alla mafia, alla camorra, alla P2. Inoltre le forze borghesi sono strettamente legate all’imperialismo americano con la sua politica di guerra per il dominio sul mondo.

Ecco perché la lotta antifascista è più attuale che mai. Ecco perché dobbiamo respingere decisamente ogni tentativo, comunque presentato, di togliere vigore alla lotta antifascista, dal campo politico a quello ideologico e culturale.

Il fascismo non è stato un “accidente” nella storia d’Italia. Instaurò la dittatura, appoggiato dai grandi capitalisti, proprietari terrieri e banchieri, che temevano l’avanzata della classe operaia e delle masse popolari dopo la prima guerra mondiale.

Venne abolito il diritto di sciopero; fu sciolto il Parlamento; furono vietati i partiti. Gli oppositori politici vennero perseguitati, messi in prigione, uccisi.

Il Vaticano stipulò accordi, fra cui i Patti lateranensi, con la dittatura fascista; il papa definì Mussolini come l’uomo della provvidenza. I cappellani, preti e vescovi davano la benedizione alle bandiere e ai gagliardetti delle truppe mandate a versare sangue per le imprese imperialiste in Etiopia, in Spagna e in Albania. Con le forniture belliche si impinguavano a dismisura i vari Agnelli, Pirelli, Donegani, tutti i potentati, di cui il fascismo, come dittatura delle forze più reazionarie, rappresentava gli interessi.

In questa situazione si sviluppò la Resistenza antifascista. I comunisti furono alla testa della lotta. Gramsci fu il massimo esempio di dedizione alla causa antifascista e agli ideali comunisti.

Si prepararono le basi perché, durante la seconda guerra mondiale, fosse possibile organizzare la guerra partigiana contro il nazifascismo. Si sviluppò nella classe operaia, che dette il massimo contributo alla guerra di liberazione, il senso dell’internazionalismo proletario. Ci sentivamo uniti ai partigiani dei vari paesi occupati dagli eserciti hitleriani.

La nostra lotta era tutt’una, con particolare riferimenti all’esempio dei partigiani sovietici e dell’Armata Rossa che, per primi a Stalingrado, avevano inferto una dura sconfitta ai nazisti, sconfitta che costituì la svolta fondamentale della seconda guerra mondiale.

Questi sono stati e sono i valori espressi dalla lotta antifascista. La solidarietà umana, la solidarietà tra i popoli, la dedizione agli ideali di una società di liberi ed eguali costituivano l’essenza della vita. Per questi valori sono morti i migliori compagni. E’ compito nostro portare avanti la lotta perché gli ideali si realizzino compiutamente.


*Fosco Dinucci (Pontasserchio 1921-1993) è stato un partigiano, un politico e un rivoluzionario italiano, segretario generale del Partito comunista d’Italia (m-l) dalla sua fondazione nel 1966 fino al suo scioglimento nel 1991.

Fosco Dinucci fin dal 1935 sviluppò fra gli operai, i contadini e gli studenti iniziative contro il fascismo, formandosi come rivoluzionario e comunista. Promosse la costituzione di cellule clandestine, svolgendo attività antifascista nella zona di Pisa, particolarmente contro il bestiale sfruttamento padronale degli operai e dei braccianti scuotitori di pine, e contro l’imperialismo fascista aggressore dell’Etiopia, della Spagna e dell’Albania. Durante la seconda guerra mondiale, organizzò il Comitato Clandestino di un reggimento insieme con altri militari comunisti, costituendo cellule fra i soldati e sviluppando l’opposizione alla guerra fascista nelle forze armate. In contatto con Alberto Bargagna e Italo Bargagna, nel settembre 1943, coordinò, con il concorso anche del compagno Concetto Marchesi, la preparazione della lotta armata.

Fu membro, come rappresentante del Partito Comunista Italiano, della commissione militare del Comitato di Liberazione Nazionale di Pisa; fu gappista, commissario politico, comandante partigiano. Arrestato dai nazifascisti fu sottoposto a duri interrogatori, mantenne sempre un fermo atteggiamento da comunista, da militante proletario. Dopo la Liberazione, fu dirigente di organizzazioni di base, componente del direttivo della Federazione provinciale di Pisa e membro del Comitato regionale della Toscana del PCI.

Nel 1949, venne chiamato ad insegnare presso la scuola quadri di partito della Toscana e successivamente presso la scuola nazionale di partito delle Frattocchie di Roma, divenendone direttore.

Si pronunciò contro il revisionismo kruscioviano, contro la socialdemocratizzazione avviata da certi dirigenti del PCI.

Nelle riunioni dei congressi di partito, si battè per il marxismo-leninismo, per la linea rivoluzionaria, ottenendo l’appoggio di molti militanti. Allora, contro la volontà della maggioranza dell’organizzazione di base che lo sosteneva, fu allontanato dal partito per decisione burocratica dai vertici dirigenziali. Insieme con altri compagni di varie zone d’Italia, si dedicò all’organizzazione dei comunisti, per l’unità sulla base del marxismo-leninismo e dell’internazionalismo proletario.

Fu tra i promotori del Movimento marxista-leninista, che ebbe Nuova Unità come organo di stampa.

Furono poste le fondamenta per la ricostruzione del partito come reparto di avanguardia del proletariato, nella continuità del partito comunista d’Italia di Gramsci. Così a Livorno, il 15 ottobre 1966, nella stessa sede del Teatro San Marco, dove nel 1921 sorse il Pcd’I di Gramsci, venne costituito il Partito Comunista d’Italia (m-l). Da allora ne è stato il segretario generale fino al 15 settembre 1991, allorquando il Pcd’I(m-l) con un suo congresso straordinario si sciolse, per confluire nel Movimento per la Rifondazione Comunista.

Successivamente partecipò nel 1992 alla costituzione del Centro Lenin Gramsci, poi Centro Gramsci di Educazione, che presiedette fino alla scomparsa.

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