VIVA IL 25 APRILE! VIVA IL 1 MAGGIO!

Sono passati settant’anni dalla sconfitta del nazifascismo. Il 25 aprile è un giorno di festa nazionale, eppure, in Italia come in Europa, assistiamo ad una costante denigrazione dei più elementari diritti democratici e ad un ritorno in auge di forze chiaramente reazionarie e neofasciste. Il richiamo della JP Morgan, colosso della finanza internazionale, alla cancellazione delle Costituzioni democratiche sorte dalla Resistenza è l’emblema della fase che stiamo attraversando, del livello che ha assunto l’oppressione di una classe sulle altre.

Allora, riproponiamo un articolo di Fosco Dinucci, pubblicato sulla rivista Nuova Unità (organo del PCd’I m-l) del 29 aprile 1971, nel quale si cerca di recuperare il senso profondo dell’esperienza storica della Resistenza e del suo valore per la lotta politica attuale.

Ci chiediamo e vi chiederete: perchè riproporlo?

Innanzitutto perchè riteniamo che esso rappresenti un utile contributo per una più completa comprensione del fascismo e della Resistenza italiana: quindi ne riconosciamo il valore intimamente pedagogico. Una penetrazione che, inoltre, ha un valore storico ma nel senso gramsciano del termine: è grande libro di storia quello che nel presente aiuta le forze in sviluppo a divenire più consapevoli di se stesse e quindi più concretamente attive e fattive.

Infatti, nella fase attuale, i lavoratori e le masse popolari sono di nuovo costretti ad affrontare una durissima crisi economica e il rischio evidente di una svolta autoritaria dal fetore autenticamente ducesco. Per cui, le parole di Fosco Dinucci, che il regime fascista lo ha vissuto e combattuto, hanno un valore doppiamente pedagogico.

Nella fattispecie, la ricostruzione di Dinucci, effettuata a partire da un rigoroso punto di vista di classe, è significativa per almeno due aspetti:

1) il fascismo mussoliniano non nasce con la marcia fascista su Roma del 1922 e neppure con le leggi fascistissime del 1925-26, ma è la reazione ad un processo rivoluzionario apertosi fin dal periodo immediatamente successivo alla prima guerra mondiale. Per tale ragione, la Resistenza nasce nel momento in cui i lavoratori e i contadini, mentre occupavano fabbriche e terre prima degli anni ’20, erano costretti a resistere alle violenze delle squadracce fasciste prezzolate dai grandi industriali e proprietari terrieri.

Il fascismo, ancor prima che ideologia e forza politica, è l’espressione nefasta e lampante di determinati interessi di classe.

Fosco Dinucci, dunque, ci insegna a ricercare le radici storiche del fascismo: esse non vanno individuate nella competizione elettorale, ma nel campo dei rapporti di produzione e quindi della lotta di classe. Il fascismo, così, non è stato e non è ancora definitivamente sconfitto;

2) la lotta partigiana non fu una semplice battaglia di opposizone al nazifascismo, ma il tentativo consapevole di liberare e trasformare radicalmente la società, superando la dicotomia tra sfruttati e sfruttatori.

Tenendo conto di questo secondo aspetto, aggiungiamo noi, l’applicazione coerente dei principi costituzionali (e la loro continua estensione) possono svolgere una funzione decisamente propulsiva. La Costituzione, nata dalla lotta partigiana contro il nazifascismo, non è quindi un traguardo ma costituisce un irrinunciabile punto di partenza per un più radicale processo di trasformazione della società umana.


Nuova Unità del 29 aprile 1971, pp. 1 e 4.

La Resistenza antifascista, che culminò nella guerra partigiana e nell’insurrezione del 25 aprile 1945, ripropone continuamente la sua attualità, come richiamo alle più valide esperienze di lotta popolare nel nostro Paese, come insegnamento per i compiti rivoluzionari del nostro Partito. La Resistenza ebbe inizio fin da quando, dopo la prima guerra mondiale, le bande mussoliniane, al servizio dei grandi capitalisti e agrari, in connubio con la casta militare e la monarchia, imperversarono nelle città e nelle campagne d’Italia, instaurando una aperta dittatura borghese che soppresse ogni libertà per il poplo e stabilì il più duro sfruttamento sui lavoratori. Le masse lavoratrici, specialmente gli operai e i contadini, lottavano contro le conseguenze della crisi susseguente alla guerra: aumento dei prezzi, disoccupazione, miseria e fame. Si sviluppò un forte movimento rivoluzionario che nel 1920 portò all’occupazione delle fabbriche. Contro i lavoratori, specialmente contro quelli più impegnati nella lotta, la classe dominante italiana scatenò la violenza reazionaria, avvalendosi delle squadracce fasciste e dell’apparato statale. Le forze popolari, abbandonate a se stesse per il tradimento socialdemocratico, prive della guida di un’avanguardia proletaria che avesse avuto modo di formarsi come partito marxista-leninista, non poterono opporre una valida violenza rivoluzionaria. Operai, braccianti, contadini poveri, giovani lavoratori e studenti, intellettuali progressisti compirono numerosi atti di eroismo, difendendo le loro organizzazioni di classe e i loro giornali. Mancando però una guida rivoluzionaria, questa opposizione non potè spezzare la violenza fascista che imperversava con l’appoggio dell’apparato statale e con il finanziamento della reazione padronale. Quando i fascisti compivano assassini, non solo non venivano perseguiti, ma potevano contare su autorevoli protezioni nell’ambito dello Stato borghese. Quando, invece, un lavoratore si difendeva con la violenza rivoluzionaria, se non veniva ucciso subito dai fascisti, era tratto in arresto e deferito ai tribunali. Il fascismo, dopo la presa del potere, rafforzò l’apparato statrale per scopi repressivi: istituì il “Tribunale speciale per la difesa dello Stato”; approntò un nuovo codice penale; creò la polizia politica segreta (OVRA), il S.I.M. (servizio informazioni militari) e altri strumenti di repressione all’interno e contro gli antifascisti emigrati. Migliaia e migliaia di lavoratori, soprattutto comunisti, furono perseguitati, imprigionati, condannati a lunghi anni di carcere, mandati al confino. Ci furono condanne all’ergastolo e a morte. I militanti antifascisti non si piegarono di fronte alla feroce reazione. Davanti ai tribunali, da accusati si trasformarono in accusatori; nelle carceri dettero vita a corsi di educazione politica e ideologica, per temprarsi come rivoluzionari. Antonio Gramsci, con il suo esempio politico e morale, riassume tutti i valori della Resistenza antifascista. Nelle fabbriche, nelle officine, nei cantieri, nelle campagne, negli uffici, nelle scuole si sviluppò il lavoro clandestino. Contro lo sfruttamento padronale, contro la soppressione di ogni libertà, contro la crescente disoccupazione, contro i salari e gli stipendi di fame furono attuati scioperi sempre più frequenti, nonostante le persecuzioni e le ritorsioni fasciste. I lavoratori, con alla testa i comunisti, svilupparono anche una decisa opposizione alla politica colonialista e di aggressione imperialista del regime mussoliniana, specialmente durante il conflitto con l’Etiopia (1935-1939) e per l’invasione dell’Albania (1939). Numerosi antifascisti, soprattutto comunisti, combatterono nelle brigate internazionali in difesa della Repubblica spagnola. Si giunse così alla seconda guerra mondiale, quando fu intensificata la lotta contro il fascismo; lotta che sfociò nella guerra partigiana e nell’insurrezione del 25 aprile 1945. I primi raggruppamenti partigiani si moltiplicarono sino alla formazione di brigate e divisioni con comando unificato, sino all’organizzazione di un esercito di centinaia di migliaia di uomini e donne, molti ancora giovanissimi, i quali si temprarono nel corso della lotta, esprimendo dalle loro fila eroici combattenti proletari. In concomitanza, agivano i gruppi di azione partigiana (GAP), sorti per attaccare ovunque i nemici, per annientarli nei loro stessi comandi, per scompaginare la loro organizzazione. Come appoggio popolare alla lotta contro i nazi-fascisti furono create le squadre di azione patriottica (SAP). La guerra partigiana potè svilupparsi impetuosamente perchè era guidata dai comunisti, che seppero stabilire il più stretto legame fra lotta armata e azione politica rivoluzionaria delle masse. Gli scioperi si combinavano con gli attacchi armati; le iniziative militari erano precedute e seguite dalla propaganda e dall’agitazione politica, in modo che al successo dell’azione armata si unisse lo sviluppo della coscienza e dell’organizzazione delle masse. Nelle città e nelle campagne, nelle vallate e nelle montagne, il popolo lavoratore dette tutto il suo appoggio alla guerra partigiana. In ciò sta la forza decisiva della Resistenza armata. Gli ideali che ispirarono i partigiani, le masse insorte, coloro che affrontarono torture e morte, non furono costituiti soltanto dall’obiettivo della liberazione dal dominio nazi-fascista, ma anche dalla profonda aspirazione a creare una nuova società senza sfruttati e sfruttatori. Per conseguire questo obiettivo, occorreva distruggere il fascismo sino alle fondamenta, nelle sue origini di classe. (…)Di fronte all’acutizzarsi dello scontro di classe, i lavoratori acquistano sempre più la consapevolezza di ricreare l’unità antifascista e antimperialista, per portare a fondo la lotta contro il fascismo, contro la società che ne è matrice e contro l’imperialismo che lo sostiene.

FOSCO DINUCCI, 29 APRILE 1971

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