TERRORISMO E PIANI REAZIONARI

IL TERRORISMO SERVE I PIANI REAZIONARI

Terrorismo e fascistizzazione. Perché a distanza di tutti questi anni riproponiamo l’articolo che segue? Ci spingono a farlo gli attentati terroristici degli ultimi anni, i quali rappresentano sia il frutto che il pretesto delle politiche reazionari dei grandi circoli imperialisti. Un articolo necessario che ci invita a vigilare.


Articolo tratto da Nuova Unità n. 17 di Martedi 16 maggio 1978

Nella galleria di personaggi indaffarati, diversi falsamente addolorati, ipocriti in modo trasparente, nei fiumi di messaggi d’occasione, di un linguaggio truculento e verboso che la televisione ci ha propinato subito dopo il ritrovamento del cadavere di Aldo Moro, è apparso per pochi minuti un operaio della Mirafiori di Torino, un delegato del Consiglio di fabbrica della Fiat. Non crediamo che la sua apparizione al TG2 abbia colpito solo noi, perché troppo netta era la differenza tra il suo modo di parlare e di porre i problemi rispetto alla fauna di prime donne e mezzi busti, troppo evidente la solidità del suo discorso rispetto alle lacrimucce di gente indifferenziata e capace di ripetere solo i luoghi comuni sentimental-cristiani.

Questo operaio poneva in tre punti la necessità di condannare le “Brigate Rosse” . 1- perché le loro azioni hanno provocato una diminuzione di partecipazione dei lavoratori al dibattito ed alle lotte. 2- Perché sulle loro azioni si è innescata una manovra di intimidazione antioperaia facendo passare misure reazionarie nei posti di lavoro e nel paese. 3- Perché le BR operando come gruppo staccato dal popolo, pretendono una delega incondizionata, delega che i lavoratori hanno rifiutato persino ai sindacati.

Questo operaio sottolineava come da ormai dieci anni i lavoratori italiani si sono battuti per essere protagonisti diretti della trasformazione della società e chiunque si ponga al di fuori di questa lotta, si mette contro la lotta della classe operaia.

Nelle parole di questo operaio di Mirafiori ci ritroviamo completamente, ci ritroviamo nel suo giudizio che mantiene fermo il punto di vista della propria classe, senza cadere nel gioco delle parti e nei ricatti sentimentali.

Il sentimentalismo e l’ipocrisia vanno di pari passo, come ci insegnano secoli e secoli di dominio clericale e come ci insegna quest’ultima vicenda. Moro, prima che dalle BR, era stato ucciso dagli stessi partiti che sostengono il governo. Questi partiti, dietro gli appelli umanitari, hanno continuato a tramare con una spregiudicatezza di cui non si conosce la misura. Perché non si rendono noti i fatti reali e quanto avvenuto dietro le quinte?

Quel poco che traspare, particolarmente dall’atteggiamento della famiglia Moro e della sua esplicita condanna al branco dei politicanti, lascia pienamente intendere con quale cinismo questi abbiano usato la vicenda Moro per realizzare piani e accordi, spregiudicati intrallazzi, proprio per niente umanitari.

BR e partiti di governo si sono messi in distacco totale dalle masse, tentando di usare un intero popolo come base di manovra e, nella logica di questo rapporto a due, sono stati i partiti di governo a determinare gli sviluppi della vicenda, senza minimamente farsi distrarre dall’azione principale che li anima in questa situazione di crisi. Chi sta in fabbrica sa bene quanto sia diventato difficile organizzarsi e lottare, quanto pesi la retorica del ricatto di fare il gioco dei terroristi, quanto sia duro oggi difendere il posto di lavoro e il salario.

Vertenze sospese, assemblee imbalsamate, dissenso schiacciato con la minaccia o equivocato ad arte perché non possa esprimersi o esprimendosi, sia falsato e messo a tacere.

Esasperazione e apatia sono i due poli con cui ci si deve misurare: l’una farebbe il gioco delle BR, l’altra farebbe il gioco dello Stato. Mentre l’apatia opera subito e fa sentire i suoi effetti deleteri, l’esasperazione prende a trasformarsi in qualunquismo e populismo, diventa un rifugiarsi nella retorica del “tanto peggio tanto meglio” facendo aspettare il peggio, nella speranza che poi intervenga chissà quale forza esterna che non richiede nessun impegno personale. E così passano i licenziamenti, si rinviano i contratti, si ristruttura il salario, passano le misure liberticide e le azioni poliziesche protette da un Parlamento unanimistico. La borghesia si attrezza sempre meglio per colpire, appresta corpi speciali e carceri speciali, mentre chi dice di voler combattere queste misure spiana la strada alla loro realizzazione.

Lo Stato borghese sembra quasi essersi rigenerato, anche con l’aiuto di dirigenti revisionisti. Ma esso è marcio nel suo interno, squassato dalla corruzione e da feroci lotte di palazzo, da faide di interessi e giochi di potere. La maggioranza che regge il governo tenta una santa unione attrezzata per condurre una crociata, con forze che si sostengono a vicenda paurose del crollo: la vastità dell’accordo, più che sintomo di forza, appare come il segno di una debolezza che il numero non riesce a superare e nascondere.

Lo Stato ha di fronte masse diffidenti e guardinghe, per niente confuse dall’omertà della coalizione dei partiti, ma solo molto confuse sul da farsi, sul come comportarsi per riprendere la lotta contro l’oppressione e lo sfruttamento.

Il clima pesante nelle piazze, il silenzio nei posti di lavoro, non sono per niente rassicuranti, e poco convincenti sono le campagne pubblicitarie sulla democrazia. Persino le elezioni passano ormai inosservate e la propaganda del regime ha la chiara sensazione di quale sforzo ci vorrebbe per ridare ad esse il prestigio. I termini della lotta di classe si fanno più precisi e più chiara si fa la coscienza di come questa lotta oggi, nell’esplodere, passerebbe i vecchi equilibri e porrebbe su nuove basi lo scontro tra le due classi fondamentali.

La necessità di una sempre più attenta vigilanza rivoluzionaria è dovere di ogni lavoratore, di ogni operaio. Troppe sono le forze che manovrano nell’ombra, pronte a colpire. Oggi, effettuare questa vigilanza significa scendere in campo decisamente e farsi promotori di una vasta azione per difendere le libertà democratiche, porsi alla testa del vasto movimento che esiste e che può organizzarsi su questo terreno, sempre coscienti che la classe operaia può assolvere il suo ruolo di forza più conseguentemente democratica se mantiene forma e fisionomia di classe rivoluzionaria e la sua lotta per una società socialista.

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